lunedì 19 marzo 2018

Recensione: SI CHIAMAVA ANNA FRANK di Miep Gies, A. Leslie Gold (RC2018)




Il Diario di Anne Frank (RECENSIONE)è una delle testimonianza sull’Olocausto più toccanti, e sicuramente è tra le più note, lette e amate da lettori di tutto il mondo, piccoli e grandi.

Com’è giunto fino a noi quel quadernetto con la copertina a scacchi bianchi e rossi (ad essere precisi, più che di un diario si dovrebbe parlare di diari, perché Anna scrisse su vari fogli sparsi e quaderni e fece anche delle revisioni, seppur parziali, dei propri scritti, in vista di una possibile pubblicazione dopo la guerra), che una 15enne ha riempito di parole e pensieri con la propria grafia minuta e che è in grado ancora di emozionare, commuovere?


SI CHIAMAVA ANNE FRANK 
di Miep Gies, A. Leslie Gold



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A raccontarcelo è Miep Gies, una delle persone che aiutarono i Frank e gli altri quattro amici a restare nascosti all’interno dello stabile in cui erano situati gli uffici della ditta in cui lavorava Otto Frank, papà di Anna. 

Miep è un’austriaca che da bambina viene inviata in Olanda grazie a un programma che aiutava i bimbi austriaci denutriti; vi resterà per sempre e anzi acquisirà la cittadinanza olandese; nel 1933 ottiene un lavoro presso la ditta Travies & Co, lavorando con il signor Frank, ebreo tedesco trasferitosi ad Amsterdam con la moglie Edith, le figlie Margot e Anne per sfuggire alle persecuzioni naziste.

Discreta, volenterosa e gentile, Miep piace ad Otto, che a sua volta è un uomo dolce, cortese e pacifico; con la famiglia Frank ben presto nasce un rapporto d’amicizia, che coinvolge anche il fidanzato di Miep, Henk.

Un’amicizia leale e sincera, che farà sì che Miep diventi un supporto fondamentale per i Frank – e non solo – quando nel 1942 i rastrellamenti delle SS rendono ormai impossibile la vita agli ebrei.
Per evitare di essere deportati nei campi di lavoro, Otto decide di nascondere la propria famiglia in un appartamento segreto sopra gli uffici dell’azienda; a loro si aggiungono i van Daan – Herman, sua moglie Petronella e il loro unico figlio, l’adolescente Peter – e più tardi il dottor Albert Dussel (chirurgo dentista).

Aiutata da altri amici e colleghi di Otto - i signori Koophuis e Kraler, e la giovane Elli Vossen, oltre che dal coraggioso fidanzato -, Miep per due anni si occuperà della famiglia di Anne e degli altri rifugiati, non solo fornendo loro cibo e tutto ciò di cui hanno bisogno materialmente, ma anche dando loro conforto e condividendo le novità che giorno per giorno emergono da una situazione che degenera velocemente

Mi ha fatto un certo effetto leggere la testimonianza di Miep, soprattutto perché mi sembrava di conoscerla in quanto ho riletto innumerevoli volte il Diario di Anne, e avendo provato - dalla prima lettura dello stesso, da ragazzina – un senso di familiarità ed empatia verso questa giovanissima ragazza, mi è sempre sembrato di essere lì con lei nel rifugio e di conoscere quasi personalmente, grazie alle sue descrizioni attente e spontanee, sia i rifugiati che gli amici/aiutanti, tra cui Miep in particolare.

Ho ritrovato quindi la “mia Anne”, questa ragazzina schietta, allegra, dagli occhi vispi e profondi, dal sorriso sbarazzino, e grazie a Miep mi è sembrato di risentire la sua voce fresca e gioiosa; quella voce che raccontava ciò che accadeva nel rifugio, che guardava con romanticismo Miep ed Henk e che si affrettava a chiedere all’amica le novità del “mondo là fuori”, quel mondo che per lei era temporaneamente off limits.


“Quando la mia faccia appariva, tutti gli sguardi si illuminavano, e si fissavano su di me con gioia. Erano sguardi assetati e avidi di novità. Poi Anna, sempre Anna, mi si piazzava davanti col suo fuoco di fila di domande: Che sta succedendo? Che cosa hai nella borsa? Hai sentito le ultime notizie?”.

Miep è il collegamento tra il rifugio, nel quale si è tenuti a muoversi con cautela, non facendo rumore, non aprendo le tende…, e l’esterno; lei è, per gli otto clandestini, i loro occhi, le loro orecchie; è la fonte di informazioni, che ora gettano nell’angoscia, ora donano un pizzichino di speranza.


“In un periodo in cui le strade di Amsterdam erano piene di terrore e di pericolo, entrare in quel nascondiglio era come un tempo mettersi al riparo in un santuario o in un luogo sacro. Dava un senso di sicurezza e sentivamo che i nostri amici lì potevano sentirsi al riparo. Ogni volta che spostavo lo scaffale, mi sforzavo di avere uno sguardo sorridente, di nascondere l’affanno interno. Respiravo profondamente, spostavo la libreria e cercavo di assumere un’espressione calma e confortante…”.

Miep è una giovane donna sensibile, attenta, completamente dedita al proprio compito di aiutare i suoi amici; non si può non ammirarne il coraggio, l’altruismo, lo spirito di sacrificio, le ansietà di cui si sobbarca in quel tempo di clandestinità; fa tenerezza il pensiero che Miep stesse attenta a non ammalarsi non per se stessa, bensì perché se fosse stata male non avrebbe potuto andare nel rifugio dai suoi amici, portar loro il necessario, e in più essi si sarebbero preoccupati per lei, cosa che andava assolutamente evitata, visto che vivere nascosti, senza poter vedere la luce del sole e con la paura di essere scoperti e portati via, è già un fatto drammatico di per sé e difficilissimo da affrontare.

In queste pagine veniamo immersi in quegli anni terribili, in cui la popolazione olandese (non solo essa, chiaramente) visse giorni, settimane, mesi, anni… di restrizioni, di fame, di paura: gli ebrei erano destinati a un infausto destino, a meno che non fossero riusciti provvidenzialmente a fuggire in altri Paesi o non riuscissero a restar nascosti grazie a qualche buon amico; gli olandesi non ebrei erano anch’essi tenuti sotto scacco dai tedeschi invasori, e Miep ci racconta come sia stato difficile trovare da mangiare in quel periodo e come ogni libertà fosse stata loro rubata.
Ci trasmette anche tutta l'ansia al pensiero di essere scoperti e la paura al pensiero di ciò che questo significhi, tanto per gli "aiutanti" quanto per gli "aiutati".

Ci fa sorridere la cara Anne, così curiosa, attiva, piena di idee, chiacchierona, acuta osservatrice di tutto ciò che le era attorno…, ma allo stesso tempo non si può non sentire una tristezza opprimente sapendo già qual è stato l’epilogo di questa testimonianza vera e dettagliata…

Personalmente, mentre mi avviavo verso la fine del libro, mi sono sentita quasi sopraffatta dall’emozione, come sempre mi è capitato ad ogni rilettura del Diario; una parte di me, ogni volta, si rifiuta emotivamente di accettare quello che è successo, non solo ad Anne ma in generale alle vittime dell’Olocausto.

Quando quel 4 agosto 1944 gli otto clandestini vengono arrestati, Miep ed Elli riescono a salvare i quaderni e i fogli usati da Anna, con la speranza, da parte di Miep, di restituirli alla legittima proprietaria, a guerra finita.

Perché Miep, in cuor suo, spera con tutta se stessa che i suoi cari amici, ai quali si è
miep
dedicata con convinzione e affetto, senza risparmiarsi e incurante del pericolo che costituiva il fatto di aiutare degli ebrei, ritorneranno dai campi in cui sicuramente sono stati inviati dai nazisti.


E quando Otto torna, magro ed emaciato ma sempre lui, col suo sorriso dolce e timido, con i suoi modi di fare riservati ma gentili…, Miep ci spera ancora di più: Anne e Margot torneranno e Anne potrà pubblicare il suo diario.

Ma così non è purtroppo…., e per diverso tempo Miep non riuscirà a leggere le pagine scritte dalla sua giovanissima e sfortunata amica, nonostante le sollecitazioni di Otto, che dopo la guerra riuscirà a far pubblicare il Diario, perché troppa era l’emozione, e leggere certi ricordi di certo avrebbe acuito il dolore per la perdita di Anna (e di tutti gli altri).

Inevitabilmente, si arriva a fine libro con una domanda martellante nella testa: Miep ha mai saputo/scoperto come e perchè siano stati scoperti i rifugiati? È stato un caso, frutto ad es. dei ripetuti furti in magazzino, che magari hanno fatto sì che qualcuno scoprisse la presenza di persone oltre la libreria girevole?
O forse c’è stato qualcuno che ha tradito?

Nel 1948 la polizia olandese fece delle indagini per accertarsi chi avesse tradito i nostri amici; secondo i documenti contenuti negli archivi, qualcuno aveva tradito. Nessun nome comparve sul rapporto; vi si diceva solo che la persona aveva ricevuto sette fiorini e mezzo per ogni ebreo, cioè un totale di sessanta fiorini. Noi sapevamo che i nostri amici dovevano essere stato traditi; alcuni sospettavano di qualcuno in particolare (…). Il signor Frank era l’unico a poter scoprire qualcosa; ma decise di non farlo”.

A prescindere da quale sia la verità, una cosa è certa: Anne è sì morta a Bergen-Belsen, ma la sua eredità, i suoi pensieri, il suo cuore, le sue speranze… hanno travalicato i cancelli e il filo spinato dei campi di concentramento, e hanno raggiunto milioni di persone nel corso degli anni, e di certo il Diario di Anne Frank ha ancora tanto da donare a quanti si accostano ad esso per conoscere questa ragazzina vispa e intelligente che desiderava diventare una scrittrice e che ha raccontato l'orrore del nazismo con la naturalezza e l'innocenza tipiche della sua età.

E persone come Miep restano per noi un esempio di cosa voglia dire sacrificarsi per il prossimo, mettere a repentaglio la propria sicurezza e la propria vita per aiutare chi è in difficoltà e che sta subendo un’enorme ingiustizia a causa di un’ideologia folle e spregevole.

È un libro che desideravo leggere dai tempi della scuola media e che ho trovato in un mercatino di oggetti e libri usati; una lettura che consiglio, in particolare a quanti sono interessati a questo periodo storico e ai tragici fatti che l’hanno contrassegnato.


Reading Challenge
obiettivo n. 29.
Un libro che nel titolo abbia una parola palindroma.


2 commenti:

  1. Ciao Angela, anch'io ho letto questo libro, tantissimi anni fa, quando andavo alle medie, se non mi sbaglio. E' una testimonianza molto interessante e, oltre a conoscere meglio Anna e la sua famiglia, ci permette di delineare anche la personalità di Miep, anch'essa "personaggio" del celeberrimo diario...

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    Risposte
    1. Si. Una prospettiva interessante che merita di essere conosciuta :)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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