martedì 20 febbraio 2018

Recensione: LITTLE BOY BLUE di Edward Bunker (RC2018)



Il ritratto crudo e commovente insieme di un ragazzino che, sballottato da un college a un altro fino agli 11 anni, rimasto orfano, conoscerà la dura vita dei riformatori e maturerà un impressionante profilo criminale, nonostante la giovanissima età.


LITTLE BOY BLUE
di Edward Bunker



LITTLE BOY BLUE
Ed. Einaudi
trad. E.Turchetti
476 pp
14 euro
Alex Hammond ha undici anni e sin da quando ne aveva quattro il padre lo ha messo in collegio, non potendo mantenerlo da solo (la moglie li ha abbandonati e non è più tornata) e per di più con una situazione lavorativa molto precaria.
Siamo negli anni della seconda guerra mondiale e fin dalle prime pagine comprendiamo un aspetto della personalità di Alex che lo accompagnerà negli anni futuri: è insofferente alle autorità, agli ordini, soprattutto se dati da adulti arroganti e malevoli, che sembrano divertirsi a trattarti come se tu valessi zero.

Suo padre Clem è un brav'uomo, ama il suo bambino e vorrebbe tenerlo con sè, ma è complicato per lui dargli una vita rispondente ai suoi bisogni, per cui è costretto dalle circostanze a lasciarlo nei vari collegi o scuole militari..., da cui puntualmente il figlio scappa, dopo aver compiuto qualche marachella.

Eppure Alex è un ragazzino fuori dal comune quanto a capacità: è in gamba, intelligente, ha uno spirito indipendente, ma è soggetto a violenti accessi di rabbia, che chiaramente non ha imparato a controllare.
Costretto a crescere in fretta in un mondo che sembra riservargli soltanto solitudine, sofferenza e dolore, Alex è portato a manifestare frustrazione e collera in modo del tutto spontaneo, senza cattiveria cosciente (almeno non all'inizio...); i suoi scoppi d'ira, la sua incapacità a gestire le emozioni forti, fanno sì che metta in atto comportamenti che violano le regole del vivere sociale (oltre che il codice penale stesso) e che quindi risultano pericolose, per sè e per gli altri.

Sbattuto continuamente tra assistenti sociali ben intenzionati ma sconcertati dal suo comportamento ingestibile, e figure autoritarie (a partire da quelle interne alle case d'accoglienza ma, successivamente, soprattutto coloro che dirigono e lavorano nei riformatori e negli istituti in cui Alex verrà rinchiuso) perfide e crudeli, il ragazzino si ritrova sotto pressione, avvinto dalle sue stesse emozioni.
La sua indole inquieta e il non saper controllare la rabbia (provata in particolare al cospetto di quelle che lui sente come ingiustizie, abusi da parte di adulti incattiviti e avvezzi a trattare i piccoli criminali con molta durezza) diventano purtroppo i presupposti fondamentali che lo renderanno sempre più incline a una condotta criminale, che inizialmente si manifesta in vagabondaggio e fughe continue dal collegi, per poi "arricchirsi" di furti, e addirittura tentato omicidio.

A motivo dei reati commessi, Alex viene inviato in istituti che accolgono ragazzi non imputabili penalmente per ragioni d'età ma che manifestano disturbi della personalità; Alex, ad es., è identificato come uno psicotico e verrà condotto in vari ospedali come il Camarillo State Mental Hospital o il Pacific Colony.

La vita in questi postacci non può che essere difficile e penosa; Alex in fondo è poco più che un bambino ed è terrorizzato all'idea di essere sottoposto a cure dolorose che potrebbero renderlo davvero matto (lui sa di non esserlo, anche se riconosce che a volte ha comportamenti "strani", troppo violenti per essere definiti normali), di incontrare e di scontrarsi con ragazzi più grandi di lui e abituati alla vita in carcere, che potrebbero fargli davvero molto male (fisicamente e non solo).

Inoltre, a far soffrire e piangere il povero Alex è la consapevolezza di essere completamente solo al mondo, una volta morto il papà: ecco, la solitudine accompagna Alex in ogni esperienza, e avvertiamo in modo evidente quanto questo sia motivo di profondo patimento per il nostro "piccolo criminale".
Nonostante i legittimi timori, quando Alex si sente minacciato da qualcuno, quando avverte che ragazzini più grandi o gli adulti vogliono "schiacciarlo" come una formichina inutile solo perchè piccolo (d'età e di fisico), in lui scatta un istinto di sopravvivenza incredibile, che lo spinge a fare a pugni con chiunque pur di non soccombere.

Certo, non conviene farsi troppi nemici, ed infatti Alex prova a fare amicizia con qualcuno con cui sente qualche affinità e da cui riceve un minimo di rispetto; si tratta ovviamente di ragazzacci di strada, ormai incamminati verso la criminalità: cattive compagnie, amici buoni a nulla sempre disponibili a instillare idee e propositi illegali nella mente brillante ma ancora acerba di Alex, che già di suo tende alla devianza e a un comportamento antisociale.

L'unica compagnia positiva tra le quattro mura della cella  sono i libri e le storie in essi narrate, che gli permettono di volare fuori, almeno con la fantasia, dalla prigione in cui si trova. Alex è un avido lettore, divora testi di tutti i generi e questo non fa che stimolare la sua intelligenza, che però non trova modo di esprimersi in ambiti positivi.

Pagina dopo pagina assistiamo all'autodistruzione di questo ragazzino "affamato d'amore", tristemente solo ed eternamente in guerra col mondo, la cui ribellione altro non è che un modo per sfuggire alle proprie paure e ai propri tormenti.

Il protagonista è solo un ragazzino, ma di lui seguiamo le vicissitudini fino ai 16 anni ed è un crescendo di azioni delinquenziali che portano Alex sempre più ai margini della società, alle cui regole egli proprio non riesce a sottostare.

Durante la lettura ho provato sentimenti contrastanti verso di lui: in certi momenti mi irritava la sua strafottenza, la testardaggine, il suo mettersi continuamente nei guai, la sua fierezza e sfrontatezza nel contravvenire alle tante regole e degli istituti e della società in generale; ma ci sono stati anche molti passaggi in cui l'Autore mi ha spinto a guardare dietro a questo modo di essere, ed Alex mi appariva allora semplicemente un undicenne spaesato, una spugna strizzata e senza forze che ha dovuto imparare a farsi strada con la forza e a suon di pugni per non farsi schiacciare dai più forti.

Le sue cicatrici emotive sembrano rimarginarsi abbastanza velocemente ma ciò non toglie che la sua personalità si sviluppi già segnata da esperienze troppo dure e forti per lui, che si ritrova "bollato" dalle forze dell'ordine e dal tribunale dei minori come un emarginato, "un lebbroso dei tempi moderni", un reietto con i grilli per la testa, la cui esistenza sarebbe sempre stata accompagnata da una dolorosa consapevolezza: 

"...la sua vera e unica pena era il suo desiderio ardente di appartenere a qualcuno, di amare ed essere amato".

Pur essendo un romanzo, "Little Boy Blue" è molto autobiografico e, per certi versi, questo si sente e si respira ad ogni pagina.
E. Bunker
Fonte
La descrizione, infatti, da parte di Bunker dei meccanismi del crimine, delle patologie sociali proprie dei delinquenti, della vita negli istituti di pena (con le sue regole scritte e non, i suoi soprusi...) è lucida, spietata, dettagliata, perchè vissuta in prima persona da chi scrive. Edward, infatti, è stato un criminale, che ha trascorso gran parte della propria vita da detenuto

La sua scrittura è dunque avvincente e angosciante insieme, sa ritrarre a tinte forti e senza mezzi termini l'infanzia di questo ragazzo che va progressivamente in rovina.

Nonostante mi piacciano i romanzi sulla criminalità, tanto più quando sono scritti con realismo, confesso di averci messo un po' a terminarlo in quanto il suo essere minuzioso ha un po' rallentato il ritmo narrativo, che in certi momenti era decisamente meno incalzante, in altri (pochi) più movimentato.
A parte questo, mi è piaciuto perchè Bunker sa trasmetterci i turbamenti e l'infelicità del giovane protagonista, come anche il suo lasciarsi andare all'aggressività per poter affrontare una vita che non gli ha concesso nè amore nè protezione.



7. Un libro con la copertina
rigorosamente in bianco e nero

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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