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sabato 25 marzo 2023

Leggendo gialli e noir...

 

L'ultimo libro terminato è un giallo/noir di Piergiorgio Pulixi che ha al centro una libreria specializzata in libri gialli (e affini), al cui interno si riunisce un gruppo di lettura che si incontra settimanalmente per discutere del libro che, di volta in volta, decide di leggere insieme.

Durante la lettura, sono molti gli spunti che l'autore offre ai suoi lettori in merito a diversi scrittori di thriller, gialli e noir, alcuni dei quali io, personalmente, pur essendo comunque appassionata del genere, non ho ancora mai letto ma ho solo sentito nominare.

Condivido con voi questi (non tutti, ce ne sono altri citati nel libro) autori; fatemi sapere se li conoscete e se di essi avete letto uno o più libri.


John Dickson Carr (pseudonimo Carr Dickson o Carter Dickson), nato nel 1906 e morto nel 1977, è stato uno scrittore statunitense tra i migliori della narrativa poliziesca e tra i maggiori esponenti del cosiddetto "mistero della camera chiusa" (il delitto o l'omicidio, al centro del mistero, avviene in una stanza in cui l'unica entrata è chiusa dall'interno e, poiché non vi sono segni di effrazione, l'autore lascia al lettore il compito di determinare come l'assassino sia riuscito a compiere un crimine senza lasciare traccia).
Carr ha pubblicato più di 80 romanzi, ma è stato anche uno sceneggiatore radiofonico e autore di racconti.

Il suo primo romanzo è stato It Walks by Night (Il mostro del plenilunio, 1930); a 25 anni sposò Clarice Cleaves (con cui ho avuto tre figlie, Julia, Bonita e Mary), con cui si stabilì in Inghilterra, dove ha trascorso gran parte della sua carriera, ma dopo essere vissuto molti anni all'estero, è tornato negli Stati Uniti, dove è rimasto fino alla sua morte.
Carr scriveva fino a 18 ore senza sosta pur di raggiungere l'obiettivo di completare quattro romanzi all'anno.

All'inizio degli anni '50, quando viveva in Inghilterra, Carr approfondì e rinnovò il suo interesse per i gialli e, in particolare, si volse verso il sottogenere del mistero storico. 
Era particolarmente attratto dalla storia britannica del XVII secolo e la inserì in molti dei suoi libri, svolgendo ricerche approfondite per assicurarsi di rappresentare accuratamente l'epoca. 
Le opere di Carr appartenenti a questo sottogenere includono La sposa di Newgate (1950) e Il diavolo vestito di velluto (1951), il suo libro più venduto.

Dorothy L. Sayers (Dorothy Leigh Sayers, 1893-1957) è stata una studiosa e scrittrice inglese, annoverata con Agatha Christie tra le "Regine del Crimine" e conosciuta in particolare per i suoi romanzi aventi come protagonista Lord Peter Wimsey, un aristocratico e investigatore dilettante; era anche un'abile e popolare drammaturga, commentatrice religiosa; la sua traduzione della Divina Commedia di Dante è considerata impareggiabile per qualità e leggibilità.

Sayers non ha scritto solo gialli; ha esplorato, ad esempio, le difficoltà dei veterani della Prima Guerra Mondiale, l'etica della pubblicità, la parità di genere, il ruolo della donna nella società.

"L'uomo non è mai veramente se stesso tranne quando crea attivamente qualcosa."

Tra le opere: Peter Wimsey e il cadavere sconosciuto, Gli occhi verdi del gatto, L'ammiraglio alla deriva.


Peter Swanson (1968) è un autore americano, noto soprattutto per i suoi romanzi di suspense psicologica. Ha pubblicato racconti e poesie in numerose riviste e i suoi romanzi sono stati tradotti in più di 30 Paesi; tra le sue opere citiamo: Quelli che meritano di essere uccisi, Otto perfetti omicidi (dal quale sarà tratto un film prodotto e interpretato da Ryan Reynolds), Il tipo che vale la pena salvare, Nove vite: un romanzo.

Mickey Spillane (pseudonimo di Frank Michael Morrison Spillane, 1918-2006) è stato un fumettista, scrittore e sceneggiatore statunitense, uno degli esponenti di riferimento del genere hard-boiled e creatore del personaggio del detective Mike Hammer.
Tra i suoi libri: L'uomo che uccide, Ti ucciderò, Bacio mortale, Alba di sangue.


Anthony Horowitz 
è uno degli scrittori più prolifici ed eclettici del Regno Unito,  è sceneggiatore per la televisione, ha prodotto, tra le altre, la prima stagione dell’Ispettore Barnaby. Nel 1979 ha pubblicato il suo primo libro per ragazzi; ha raggiunto una grande fama soprattutto scrivendo la serie di romanzi per ragazzi di Alex Rider, un 14enne che diventa una spia dei servizi segreti inglesi.
Scrittore raffinato, capace di costruire trame avvincenti e piene di colpi di scena, fa largo uso di un irresistibile humor nero.



Fonti consultate:

https://www.britannica.com/
https://www.wikiwand.com/en/Peter_Swanson
https://pabook.libraries.psu.edu/carr__john_dickson
https://www.wheaton.edu/academics/academic-centers/wadecenter/authors/dorothy-l-sayers/
https://www.rizzolilibri.it/

sabato 25 febbraio 2023

✔ IMPARARE LEGGENDO ✔ CONSULTIAMO IL VOCABOLARIO

 

Leggendo leggendo, mi capita di incappare in vocaboli che, onestamente, non fanno parte del mio vocabolario d'uso quotidiano e di cui non conosco (o forse non ricordo, proprio perché non me ne servo) il significato.

Ergo, questo post ha il nobile fine di colmare qualche lacuna o rinfrescarmi la memoria ^_-





Sono termini in cui mi sono imbattuta leggendo MANOLA, di Margaret Mazzantini.


RUPOFOBIA: dal greco, "paura dello sporco", la Nesting Syndrome si caratterizza per la presenza di comportamenti tipicamente fobici, come evitamenti e richieste di aiuto per salvarsi dai pericoli dello sporco e della contaminazione. In altri casi, invece, con espressioni maggiormente compulsive, quindi con lavaggi continui, ripetuti ed incontrollabili delle mani, del corpo, degli oggetti che si toccano, di parti della casa, dei vestiti indossati ecc. (fonte)


ACROFOBIA
: fobia delle altezze, nonché una intensa paura ad affacciarsi “sul vuoto”, come per esempio da un balcone, una finestra, un tetto, un'altura, ecc.. (fonte)


MACRURO: s. m. pl. [lat. scient. Macrura, comp. di macro- e -ura (v. -uro1)]. – In zoologia, gruppo di crostacei decapodi caratterizzati da un addome che, a differenza di quello dei brachiuri, non è ripiegato sotto il cefalotorace ed è provvisto di un telson bene sviluppato. (Treccani)


TRISULCO: agg. [dal lat. trisulcus, comp. di tri- «tre» e sulcus «solco»] (pl. m. -chi), letter. – Che ha tre solchi, tre punte(Treccani)


AFANITE: s. f. [der. del gr. ἀϕαν ή ς «non evidente», per la struttura molto minuta]. – In litologia, nome usato dapprima per indicare tipi di rocce oscure a orneblenda con struttura minutissima e compatta, e poi esteso a tutte le rocce a struttura non risolvibile a occhio nudo. (Treccani)



domenica 12 giugno 2022

Eilean Mòr e i guardiani del faro svaniti nel nulla



Domani troverete online la recensione de I GUARDIANI DEL FARO di Emma Stonex; l'Autrice, per scrivere il romanzo, si è ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1900: la misteriosa scomparsa di tre guardiani del Faro di Eilean Mòr.


È il giorno 26 dicembre del 1900 quando una piccola nave si dirige verso le Isole Flannan nelle remote 
eilean mòr

Ebridi Esterne; la sua destinazione è il faro di Eilean Mòr, un'isola disabitata, o meglio, abitata solo dai guardiani.
Eilean Mòr, la più grande delle isole, è circondata da un alone di mistero e superstizione; coloro che si avventuravano per visitarla si impegnavano in strani rituali per proteggersi, convinti che fosse un luogo  maledetto.

Quando la nave raggiunge la piattaforma di atterraggio, il capitano è sorpreso nel non vedere nessuno in attesa del loro arrivo, nonostante fossero in ritardo di sei giorni.
Il guardiano che deve dare il cambio, Joseph Moore, sbarca, sale la ripida rampa di scale che porta al faro e una volta dentro avverte che c'è qualcosa di stonato, di strano, una sorta di calma sinistra: la porta del faro è aperta, nell'androne mancano due dei tre cappotti cerati (perché non tre? possibile che uno dei guardiani fosse uscito fuori senza cappotto in pieno inverno?); in cucina sul tavolo c'è del cibo che qualcuno ha cominciato a consumare ma non ha terminato, una sedia capovolta, il camino inutilizzato, i letti sistemati e l'orologio è fermo.

Moore cerca segnali di vita nel resto del faro ma niente: dei guardiani, che dovevano essere lì e che aspettavano il cambio, neanche l'ombra.

Harvey invia subito un telegramma sulla terraferma in cui si rende noto che a Flannan è successo un terribile incidente. I tre custodi, James Ducat (43 anni), Thomas Marshall (40 anni) e il terzo assistente, Donald McArthur (28), sono scomparsi dall'isola. Al loro arrivo nel pomeriggio non si vedeva alcun segno di vita.

Pochi giorni dopo, cominciano le indagini per capire cosa possa essere successo e dove siano finiti i tre.
L'unico dettaglio in più, rispetto al resoconto di Moore, è dato dal registro del faro...
In esso erano riportate le trascrizioni del meteo ed altri particolari; nella giornata del 12 dicembre, Thomas Marshall, il secondo assistente, scrisse di "venti severi come non avevo mai visto prima in vent'anni". 
Erano riportate due note sui colleghi: James Ducat, il custode principale, era stato "molto silenzioso" e  Donald McArthur "stava piangendo".

Cosa potevano voler dire queste due precisazioni sugli stati emotivi dei due custodi?

Le voci di registro del 13 dicembre affermavano che la tempesta stava ancora infuriando e che tutti e tre gli uomini stavano pregando. 
Il che è strano per almeno due ragioni: anzitutto si parlava di tre uomini esperti del mestiere e poi essi erano comunque al sicuro su un faro nuovo di zecca a 150 piedi sul livello del mare. Di cosa avrebbero dovuto avere una tale paura da mettersi a pregare?
Ma a rendere bizzarra ed inquietante la trascrizione del registro è che in quella zona, nei giorni 12, 13 e 14 dicembre, non erano stati segnalati temporali. 
La tempesta avrebbe colpito l'isola solo verso il 17 dicembre.

L'ultima voce sul registro è del 15 dicembre: "Tempesta finita, mare calmo. Dio è sopra tutto". 
Anche qui: cosa si intende con 'Dio è sopra tutto'?

Ancora: giù dalla piattaforma di atterraggio sono state trovate delle corde sparse su tutte le rocce, corde che di solito erano tenute in una cassa marrone a 70 piedi sopra la piattaforma su una gru di rifornimento. 
Forse la cassa era stata spostata e abbattuta e i guardiani del faro stavano tentando di recuperarla quando un'onda inaspettata è arrivata e li ha trascinati in mare? 
Questa è stata la prima e la più probabile delle teorie, inclusa nel rapporto ufficiale fatto al Northern Lighthouse Board.

Ma come mai nessuno dei corpi è giunto a riva? Ed è possibile comunque che tre esperti guardiani del faro siano stati colti alla sprovvista da un'onda?

Di risposte certe non ce ne sono mai state; nel tempo tante ipotesi - anche molto fantasiose - sono state 
avanzate ma la più accreditata, come dicevo, resta quella dell'onda anomala che ha preso i tre alla sprovvista, portandoli giù, negli abissi di un mare che s'è preso le loro vite e non ha più neanche restituito i loro corpi.



Fonti consultate:

https://www.amazon.it/Lighthouse-Mystery-Eilean-Keepers-English-ebook/dp/B00JTJECFW

https://explorersweb.com/exploration-mysteries-eilean-mor-disappearances/

https://www.keithmccloskey.com/the-lighthouse-the-mystery-of-the-eilean-mor-lighthouse-keepers/

mercoledì 18 maggio 2022

✔ IMPARARE LEGGENDO ✔ CONSULTIAMO IL VOCABOLARIO


Leggendo leggendo, mi capita di incepparmi... ops!, scusate, di incappare in vocaboli che, onestamente, non fanno parte del mio vocabolario d'uso quotidiano e di cui non conosco (o forse non ricordo, proprio perché non me ne servo) il significato.

Bene, come vedrete voi stessi, i primi quattro termini - incontrati leggendo RANDAGI di Amerighi - costituiscono un po' un'eccezione in quanto appartengono al dialetto toscano. 

Ora, non essendo toscana, non son tenuta a conoscerli, no?, dunque non si può addebitare nulla alla mia ignoranza 😀


GERBO: (regionale) nell'uso toscano: moina, lezzo, smorfia.

ACCHINARE:  Umiliare, Render umile. (fonte)

SPISCIORATI: zampillare, sgorgare.

SCANGEO: [forse der. di cangiare], pop. tosc. – Disavventura, accidente, disastro.


Con le seguenti paroline, invece, ci siamo incrociati nel libro di Fabio Bacà, Nova.


BROCCARDO: [dal lat. mediev. brocardum]. – Nome con cui vengono indicate le Regole generali di diritto, enunciate dalla scuola dei glossatori di Bologna (sec. 12° e 13°), e considerate da alcuni quali assiomi giuridici, da altri come punto in cui s’incontrano opinioni contrarie e discutibili.

AGNIZIONE: [dal lat. agnitio -onis, der. di agnoscĕre «riconoscere», part. pass. agnĭtus]. – Il riconoscere o il riconoscersi di persone in particolari circostanze; spec., nel teatro classico e d’imitazione classica, il riconoscimento di uno o più personaggi che scoprono la loro identità fin allora sconosciuta, risolvendo così, alla fine, le complesse vicende dell’intreccio.

PANÒPLIA: [dal gr. πανοπλία, comp. di παν- «pan-» e ὅπλον «arma»].
1. Armatura completa, e in partic., presso gli antichi Greci, l’armatura degli opliti.
2. Insieme di armi, generalm. bianche, o di varie parti di un’armatura, disposte come trofeo, per lo più su parete, a scopo decorativo.

SÒSPITE: [dal lat. sospes -pĭtis (f. sospĭta) «sano e salvo; che protegge e salva», di etimo incerto], letter. – Che protegge e salva o tutela.

CHILIASTICO: che si riferisce al chiliasmo, sinonimo di millenarismo → dottrina che predica l’avvento del regno di Cristo in terra, prima del giudizio finale, riservato ai soli giusti e destinato a durare mille anni. 

COPROLALIA (dal greco "sterco" e "chiacchiera"): impulso non controllabile che spinge a parlare in modo volgare, osceno; spesso lo si riscontra in alcune condizioni patologiche, come la Sindrome di Tourette.

lunedì 7 marzo 2022

Consultiamo il vocabolario ^_^

 

Leggendo leggendo, mi capita di incepparmi... ops!, scusate, di incappare in vocaboli che, onestamente, non fanno parte del mio vocabolario d'uso quotidiano e di cui non conosco (o forse non ricordo, proprio perché non me ne servo) il significato.

Ergo, questo post ha il nobile fine di colmare qualche lacuna ^_-


LATEBRAlatèbra (o làtebra) s. f. [dal lat. latĕbra, der. di latere «star nascosto»]. 

1. letter. Nascondiglio, luogo oscuro e nascosto; per lo più usato al plur.: Ne le l. poi del Nilo accolto, Attender par in grembo a lei la morte (T. Tasso); Ansanti li vede ... Le note l. del covo cercar (Manzoni); le vostre Paurose latebre Eco solinga ... abitò (Leopardi).
Fig., recesso, profondità segreta: le l. del cuore umano; nelle l. del pensiero, della mente; o in genere ciò che nasconde qualche cosa: Assai t’è mo aperta la latebra Che t’ascondeva la giustizia viva (Dante). 

2. In embriologia, nell’uovo degli uccelli, massa di tuorlo bianco, finemente granulare, a forma di fiasco, che si estende dal centro dell’uovo alla superficie, al di sotto del disco germinativo.


MATRACCIO: [dal fr. matras, che è forse dall’arabo maṭara «otre, vaso»]. 

Recipiente di vetro, sferico oppure conico (in quest’ultimo caso è detto anche beuta), a fondo piano e collo lungo, di capacità varia, talvolta tarato, usato per esperimenti chimici, in prove di laboratorio, ecc.


BIACCA: [dal longob. *blaih «sbiadito», cfr. ted. bleich «pallido»]. 

Sostanza colorante bianca (carbonato basico di piombo), molto usata in passato come pigmento-base per vernici a olio; velenosa e soggetta all’annerimento per azione dell’idrogeno solforato dell’aria, è stata sostituita dalla biacca di zinco (ossido di zinco) e dal bianco di titanio (ossido di titanio). 
Fu a lungo usata anche per fabbricazione di polveri e creme cosmetiche. B. bruciata o usta, antica denominazione del prodotto di calcinazione della biacca; è una polvere giallo-rossastra usata in pittura.


GHIERA: [lat. tardo vĭria, di solito al pl. viriae «braccialetto»; v. vera]. 

1. Puntale di ottone o di ferro nel quale si fa entrare, per rinforzo, l’estremità inferiore di un bastone, di un ombrello, di un utensile; nel fucile, cerchietto che tiene stretta alla cassa la canna. 

2. a. Cerchietto di metallo che fascia una superficie cilindrica (per es., nell’attrezzatura navale, un albero o un’asta) per rinforzo o per impedire che si fenda. b. Anello metallico provvisto internamente di filettatura ed esternamente di intagli che permettono il serraggio mediante chiavi a dente; si usa per fissare mozzi su alberi, mandrini di macchine utensili, ecc. 

3. In architettura, arco estradossato di spessore uniforme. 

4. Termine talora usato, come italianizzazione del venez. vera (v. la voce, nel sign. 2), per indicare la vera del pozzo, che con espressione tecnica è detta puteale.

mercoledì 23 febbraio 2022

Dietro le pagine di... "La custode dei peccati"

 

In questi giorni sto leggendo LA CUSTODE DEI PECCATI di Megan Campisi, che ha al centro la storia di una ragazzina - May Owens - cui è toccato un triste "destino": in seguito ad un furto, è stata condannata a diventare una mangiapeccati




Chi erano i/le mangiapeccati? C'è traccia di loro nella storia?

Confesso di non aver mai sentito parlare né di aver letto nulla a proposito di queste figure realmente esistite, prima di leggere il libro della Campisi.

Presa dalla curiosità, ho provato a cercare qualche informazione al di fuori dal contesto del romanzo, che chiaramente, per ragioni narrative, contiene sì elementi storici ma anche fittizi, inventati.

Inquadriamo anzitutto il periodo storico: XVIII e XIX secolo, ma in realtà è una pratica presente in età Medievale e sopravvissuta al trascorrere del tempo, visto che verso la fine del 1600 si registra ancora questa "vecchia usanza ai funerali", che pare sia stata praticata fino all'inizio del XX secolo; gli studiosi hanno ipotizzato, a proposito della sua origine, che essa presumibilmente potesse essere frutto di un'interpretazione dell'uso del capro espiatorio menzionato nel Levitico

fonte

Altri hanno ritenuto che provenisse da tradizioni pagane, ma in Death, Dissection and the Destitute, Ruth Richardson scrive di un'usanza medievale che riguardava proprio il "mangiare il peccato": prima di un funerale, i nobili una volta davano cibo ai poveri in cambio di preghiere a favore di un loro caro morto di recente.

Dove si praticava? In Inghilterra, Scozia e Galles.
I "mangiatori di peccati" (sin eaters) erano persone della comunità che consumavano i peccati della gente morta di recente.

A dare una prima vera testimonianza della pratica è stato lo studioso del 1600 John Aubrey (1626-1697), il quale annotò che nell'Herefordshire c'era questo costume: nei funerali venivano assunti dei poveri che avrebbero dovuto "prendere su di loro" tutti i peccati del defunto, e in che modo? Il mangiapeccati doveva consumare, sul corpo del morto, pane e birra, e avrebbe ricevuto sei pence in denaro, il tutto nella convinzione che in questo modo l'anima della persona deceduta potesse andare dritta dritta in Paradiso perchè i suoi peccati non gravavano più su di essa... ma su quella del mangiapeccati.

Siccome consumare i peccati di un'altra persona non era un attività proprio allettante, solitamente a prendersi quest'onere erano individui poveri e già magari emarginati dalla comunità, disposti quindi a mettere a rischio la propria salvezza in cambio di un magro compenso o di un pasto gratuito.

È facile immaginare come queste figure fossero oggetto di profondo disprezzo; i loro tristi servigi dovevano essere esercitati in modo discreto e, una volta fatto il loro lavoro, costoro venivano cacciati di casa, spesso picchiati e maltrattati fino a quando non se ne erano andati.
Si pensava che incrociare lo sguardo di un mangiatore di peccati attirasse una maledizione, anche perché questi disgraziati erano comunque ritenuti dannati, più peccatori degli altri e, in una certa misura, più malvagi. Essere in presenza di un mangiatore di peccati significava essere in presenza dei peccati di molte persone.

Va da sé che i mangiapeccati vivessero spesso come dei derelitti, lontani dagli altri, odiati ma comunque necessari nel caso in cui qualcuno morisse prima che potesse confessare i propri peccati. 

La Chiesa non ha mai punito quest'usanza alternativa... ma neanche incoraggiata, tant'è che poi è andata man mano scomparendo.
Ne parlano anche John Bagford (1650–1716, scrittore, bibliografo) e Catherine Sinclair, che annota nel suo diario di viaggio del 1838 (Hill and Valley) come la pratica fosse sì in declino ma se ne trovassero ancora tracce nel Monmouthshire (contea del sud-est del Galles) e in altre contee ad ovest. 

Richard Munslow, sepolto nel 1906 a Ratlinghope (un villaggio nello Shropshire, Inghilterra) pare sia l'ultimo mangiatore di peccati. 






Fonti consultate:

https://www.atlasobscura.com/
https://historyofyesterday.com/
https://www.secondshistory.com/

domenica 30 gennaio 2022

Dietro le pagine di... "La ragazza del sole" di Lucinda Riley


Come dico ogni volta che scrivo la mia opinione sui romanzi di Lucinda Riley, uno degli aspetti che più gradisco delle sue narrazioni è il mix tra finzione e realtà: mi piace molto che i personaggi inventati dei suoi libri interagiscano (e la loro vita è spesso da essi rivoluzionata) con personaggi realmente esistiti.

È ciò che si verifica anche nel sesto libro della saga Le Sette Sorelle, LA RAGAZZA DEL SOLE (recensione), dove la giovane protagonista è in qualche modo collegata a una donna nera che ha dato il suo notevole contributo per aiutare concretamente i figli di tossicodipendenti nel quartiere di Harlem, a New York: sto parlando di Mother Clara Hale.


Clara McBride è nata nel 1905 a Elizabeth City, nella Carolina del Nord; rimasta orfana molto giovane, dopo il liceo sposa Thomas Hale e insieme si trasferiscono a New York, ad Harlem.

C'è da dire che negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, Harlem era un quartiere piuttosto povero e con un elevato tasso di disoccupazione e criminalità, tanto che per anni è stato considerato tra i più pericolosi e malfamati nell'isola di Manhattan.

Purtroppo, dopo pochi anni dal matrimonio, Thomas muore di cancro, lasciando la giovane vedova con tre bambini (Nathan e Lorraine, Kenneth era stato adottato) piccoli da crescere e mantenere. Avendo bisogno di soldi, Clara comincia a lavorare come donna delle pulizie nelle case durante il giorno e nei teatri di notte.

Essendo lei per prima ad incontrare non poche difficoltà nel crescere i propri figli ad Harlem e da madre sola, la signora Hale sente una forte empatia per i bambini abbandonati e trascurati. 
Così, negli anni '40 apre le porte della propria casa per fornire assistenza a breve e lungo termine ai bambini della comunità; si preoccupa anche di trovare alloggio a bambini senzatetto e questo suo impegno fa sì che venga chiamata affettuosamente "Mother Hale", essendo stata riconosciuta come  madre affidataria autorizzata che fornisce assistenza a centinaia di bambini nella propria casa. Inizialmente il suo aiuto è volto a prendersi cura di bambini i cui genitori lavorano durante il giorno, offrendo ai piccoli ospiti un ambiente premuroso ed e amorevole.  

"hold them, rock them, love them
 and tell them how great they are."
Nel 1969 le cose cambiano: Lorraine Hale (la figlia, medico, di Clara) incontra in un parco di Harlem una donna eroinomane, con il suo bambino di due mesi, e le dà l'indirizzo di sua madre. 

Da quel momento Clara decide di prestare assistenza e aiuto ai figli di persone tossicodipendenti, supportata dai propri figli; insieme a Lorraine fondano Hale House, una comunità in cui venivano accolti bambini/ragazzi tossicodipendenti per fornire loro cure ed assistenza: li cresceva come fossero figli suoi e, una volta guariti dalla dipendenza, si preoccupava di trovare famiglie interessate all'adozione.

Ad Hale House, inoltre, i genitori con problemi di droga venivano aiutati ad imparare a prendersi cura di se stessi e dei loro bambini partecipando a un programma di riabilitazione. 
Negli anni '80, Hale ha ampliato i servizi di Hale House includendo l'assistenza ai bambini colpiti dall'HIV e a coloro che avevano perso i genitori a causa dell'AIDS.

Durante gli anni in cui ha operato ed aiutato tante persone, Mother Clara Hale ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi per il suo servizio alla comunità; nel 1985 il presidente Ronald Reagan l'ha definita una "eroina americana" per il suo impegno nei confronti dei bambini a rischio.

Clara McBride Hale è morta il 18 dicembre 1992 a New York City all'età di 87 anni.





Come spiegato già nella sinossi del libro, la storia si sviluppa su due piani temporali: il 2008 e gli anni '40 del Novecento, in cui conosciamo la co-protagonista la newyorchese Cecily, che trascorrerà non pochi anni in Kenya.
Là viene in contatto con la comunità di bianchi aristocratici denominata Happy Valley.

Si tratta di un gruppo di ricchi signori e signore britannici e anglo-irlandesi, stabilitisi nella regione Happy Valley della Wanjohi Valley, vicino alla catena montuosa di Aberdare, tra gli anni 1920 e gli anni 1940; l'area intorno al lago Naivasha è stata una delle prime ad accogliere comunità bianche.
In particolare negli anni Trenta il gruppo diventò noto per i suoi stili di vita "decadenti", edonistici, per l'abitudine all'uso di droga e per la promiscuità sessuale.

Tra i membri di Happy Valley sono annoverati personaggi cui si è ispirata la stessa Lucinda e che vengono da lei menzionati: Kiki Preston (1898 - 1946), Jock "Jack" Delves Broughton e la moglie Diana Delves Broughton, Josslyn Hay, 22esimo conte di Erroll, Alice de Janzé.


Wanjohi Valley, Kenya





Kiki Preston


lago Naivasha



https://blackdoctor.org/
https://ifatti.wiki/
https://www.blackpast.org/

bursarts.wordpress.com
https://it.knowledgr.com/
https://therake.com/stories/happy-valley-set/
https://www.kenyavacanze.org/safari/lago-naivasha/

martedì 23 marzo 2021

Imparare leggendo // arricchiamo il dizionario

 

Capita, leggendo, di imbattersi in termini di cui non conosciamo per niente o poco il significato!

E poiché non è mai tardi per imparare (menomale, aggiungo), ecco alcune paroline a me sconosciute.




OBICEPezzo d’artiglieria moderno avente originariamente (dagli inizi del 20° sec. e sino alla Seconda guerra mondiale) canna di lunghezza generalmente compresa fra 12 e 25 calibri (intermedia, pertanto, fra i cannoni e i mortai) e attualmente oltre i 50 calibri (comprese, quindi, anche bocche da fuoco che secondo la definizione tradizionale possono essere classificate come cannoni).


SCOLTA (ant. ascólta) s. f. [incrocio dell’ant. scolca con ascoltare]. – 1. Sentinella, guardia (in senso astratto e concr.): essere di scolta, fare la s., fare la guardia; le s. giravano armate intorno al castello; e con valore collettivo: Trovò dormir l’ascolta d’Agramante: Tutta l’uccise, e non ne fe’ un prigione (Ariosto); Ecco tutta di Sionne Si commosse la pendice, E la scolta insultatrice Di spavento tramortì (Manzoni). 2. Nella marina milit., sentinella non armata di fucile, destinata alla sorveglianza e al rassetto dei ponti inferiori. 3. Nello scoutismo, denominazione delle giovani esploratrici (come traduzione ital. dell’ingl. scout «persona mandata in ricognizione», e dunque «esploratore, sentinella») dall’età di 16 fino ai 21 anni.
 

RESIPISCENZA s. f. [dal lat. tardo resipiscentia, der. di resipiscens -entis «resipiscente»], letter. – Il rinsavire e il ravvedersi, riconoscendo l’errore in cui si è caduti, tornando al retto operare: la troppo tarda r. non gli giovò. Nel diritto penale la r. del colpevole ha efficacia esimente o attenuante sulla punizione del reato, per considerazioni fondate sia su motivi di giustizia (minore entità dell’offesa al diritto) sia su ragioni sintomatiche (minore capacità a delinquere).

martedì 24 marzo 2020

Dietro le pagine di "La tua vita e la mia"



La lettura di LA TUA VITA E LA MIA di Majgull Axelsson mi ha spinta a interessarmi all'istituto per disabili mentali di Vipeholm a Lund in Svezia, menzionato dall'Autrice, che, a proposito di ciò che succedeva tra le mura del manicomio, cita - senza soffermarvisi troppo - gli esperimenti sulle carie dentali fatte sui pazienti.
I suddetti esperimenti sono avvenuti tra gli anni 1945 e 1955. In seguito, essi furono oggetto di una profonda discussione etica in relazione alle modalità in cui furono condotti.

In Svezia negli anni '30 gli studiosi avevano scoperto che anche i bambini di 3 anni avevano delle carie nell'83% dei loro denti, cosa non insolita se pensiamo che la cura dentale era molto scarsa nella maggior parte dei paesi.
Il trattamento dei denti era praticamente inesistente e quelli in decomposizione venivano semplicemente tirati via; pensate che la mancanza di denti era così diffusa negli Stati Uniti che l'esercito limitò le reclute per la prima e la seconda guerra mondiale a quegli uomini che avevano almeno sei denti opposti intatti.

Di fronte a un'epidemia nazionale di riparazione dei denti troppo costosa da intraprendere, il governo svedese decise di concentrarsi sulla prevenzione e commissionò uno studio (finanziato dall'industria dello zucchero) sul ruolo e l'importanza della dieta e dei dolci.

Decisero che il luogo perfetto per svolgere un simile studio fosse il Vipeholm Mental Institution, una grande struttura appena fuori Lund capace di accogliere fino a 1000 persone ricoverate.
Dal 1935 era diventata una casa per soggetti con gravi disabilità intellettive e dello sviluppo.

Questi pazienti erano definiti idioti, e secondo la medicina di allora un "idiota" era una persona con un QI inferiore a 25; un "imbecille" aveva un QI compreso tra 26 e 50 (l'intelligenza di un bambino di sette anni).
In questo manicomio, vi erano grandi sale in cui i pazienti venivano più che altro lasciati a se stessi; se eccessivamente fastidiosi, li si bagnava con acqua fredda; alcuni di loro erano allettati.

In pratica, alla fine degli anni '40 i pazienti di questa struttura furono deliberatamente nutriti con caramelle appiccicose per vedere cosa sarebbe successo ai loro denti: l'obiettivo era studiare l'effetto delle caramelle sui denti.
A dare il permesso fu il direttore, non certo le famiglie dei degenti, che non furono consultate.

I partecipanti allo studio erano stati tutti nutriti con la stessa dieta di base, poi suddivisi in sette gruppi per confrontare il modo in cui leggeri cambiamenti nei tempi e nella quantità di consumo di zucchero influissero sulla loro salute dentale.
Com'è logico immaginare, molti di questi pazienti hanno finito per perdere i denti.



Un altro aspetto molto triste è stato evidenziato da Kristina Engwall* quando ha confrontato lo stato nutrizionale negli ospedali e nelle istituzioni psichiatriche svedesi per i "deboli di mente" durante le due guerre mondiali con quelli delle istituzioni tedesche delle stesse due epoche. 
Entrambi i paesi avevano alti tassi di mortalità durante la prima guerra mondiale; durante la seconda guerra mondiale, i nazisti usavano la fame come mezzo per uccidere i disabili. 
Similmente, in Svezia, il razionamento dovuto alla guerra ha colpito i pazienti in quanto fu ridotto il cibo disponibile per i pazienti negli ospedali psichiatrici e negli ospedali in generale, ma nonostante la marcata perdita di peso dei pazienti in questo tipo di istituti, non ci sono prove che i tassi di mortalità nelle istituzioni svedesi fossero in aumento, fatta eccezione per il Vipeholm, dove i pazienti, essendo gravemente disabili, richiedevano assistenza nel mangiare.
E' probabile che l'alto tasso di mortalità a Vipeholm tra il 1941 e il 1943 fosse il risultato della carenza di personale e di un'assistenza insufficiente ai pazienti che necessitavano di maggiore aiuto, con conseguente denutrizione e morte. 
In generale, i pazienti istituzionalizzati per lunghi periodi mostrano un alto tasso di mortalità, 
attribuibile alle condizioni di affollamento e alla facile diffusione dell'infezione; durante gli anni della guerra, quando il cibo era di per sè scarso, i tassi di mortalità non poterono che aumentare ulteriormente.




Articoli consultati
  • Fonte 1
  • *Fonte 2:  Engwall, K., 2005. Affamato di morte? Nutrizione nei manicomi durante le guerre mondiali. Scandinavian Journal of Disability Research , 7 (1), pagg. 2-22. DOI: http://doi.org/10.1080/15017410510032172
  • Fonte 3: Seeman, Mary. (2006). Starvation in psychiatric institutions in Sweden. International Journal of Mental Health. 35. 81-87. 10.2753/IMH0020-7411350409. 
  • Fonte 4

mercoledì 11 marzo 2020

L'11 marzo 1818 fu pubblicato per la prima volta "Frankenstein" di Mary Shelley



Mary Wollstonecraft Godwin (1797-1851) era la figlia di Mary Wollstonecraft, una delle prime femministe a battersi per i diritti delle donne nella società inglese (e autrice del libro A Vindication of the Rights of Woman in cui chiedeva che alle donne fosse data la possibilità di un'istruzione equa perchè potessero avere un proprio ruolo nella società), e del filosofo William Godwin.
Non è difficile immaginare come l'essere cresciuta in una famiglia di intellettuali che non avevano paura di denunciare i limiti della società del loro tempo, possa averla positivamente influenzata a scrivere Frankenstein in un momento in cui le donne venivano giudicate male per aver scritto sui lati più oscuri della vita.

Tutti la conosciamo in quanto autrice di uno dei più classici tra i romanzi horror - Frankenstein - che
in effetti ha fatto di lei un'icona del genere gotico. 
La Shelley ha scritto degli orrori del genere umano, sullo sfondo delle più povere ambientazioni e lei stessa visse una vita piena di mistero e tragedia.

Il libro che l'ha resa celebre in tutto il mondo è stato scritto all'età di soli 18 anni e pubblicato l'11 marzo del 1818, quando lei nei aveva solo 21.

Quando uscì per la prima volta, le prime recensioni non furono proprio positive, e ci fu chi affermò che quest'opera non trasmettesse nessuna lezione di buona condotta o di moralità, che non era in grado di divertire nessuno, a meno che non si avessero gusti deplorevoli...

Frankenstein è nato in seguito ad una sfida a scrivere una storia di fantasmi: accadde durante l'estate del 1816, i coniugi Percey e Mary Shelley  erano in viaggio e si fermarono a Ginevra, dove si imbatterono in Lord Bryon, che all'epoca stava viaggiando con John Polidori, il suo medico. Secondo la British Library, a causa di lunghe giornate piovose, trascorsero insieme molte giornate chiusi in casa, a discutere di filosofia e se fosse possibile ricreare la vita da una materia morta.
Finché un giorno, Lord Bryon suggerì che tutti scrivessero paurose storie di fantasmi da condividere tra loro. e Mary Shelley si impegnò a pensare ad una storia che parlasse delle misteriose paure della nostra natura umana e risvegliasse un orrore elettrizzante, di quelli che fanno temere al lettore di guardarsi attorno, che fanno gelare il sangue e accelerare i battiti del cuore.

Ad ispirarla è stato un incubo, del resto, bloccata in casa (non si sa mai che da questo #iorestoacasa possano nascere opere d'arte pure ai nostri giorni eh ^_-), con nient'altro da fare se non leggere poesie e meditare nella loro villa estiva, Mary Shelley ebbe un brutto incubo durante una notte nel quale sognò quello che sarebbe diventato Victor Frankenstein.
Al risveglio, Mary Shelley si sentì in dovere di scrivere di più su questa storia dicendo ai suoi lettori: “L'ho trovata! Ciò che mi terrorizza terrorizzerà anche gli altri" e fu così che si affrettò a descrivere lo spettro che l'aveva tormentata.

Frankenstein può essere annoverato anche tra le opere di fantascienza, in quanto è incentrato su uno scienziato che crea una nuova vita attraverso l'uso del galvanismo.

Inizialmente l'Autrice pubblicò l'opera in forma anonima, per questa ragione in diversi avevano iniziato a chiedersi se dietro non ci fosse Percy Shelley, il quale ne aveva scritto l'introduzione.
Fu con la ripubblicazione del 1823 che il romanzo fu attribuito a Mary.

Uno dei fatti più macabri che riguardano la mamma di Frankenstein è che, quando suo marito morì prematuramente (annegò durante un viaggio in nave)  nel 1822, il suo corpo fu cremato, ma la moglie tenne con sè il cuore e lo fece calcificare.

La Shelley ha scritto altre opere letterarie durante la sua carriera: nel 1823 Mary Shelley pubblicò Valperga, un romanzo di narrativa storica in cui il protagonista Castruccio Castracani, che amò appassionatamente la contessa Eutanasia (tanto per restare in allegria). Nel corso della storia, Castruccio chiede a Eutanasia di scegliere tra il suo amore per lui e il suo amore per la sua terra, Valperga.

Ha anche scritto The Last Man nel 1826, un romanzo fantascientifico-apocalittico in cui si immagina un mondo condannato da una pestilenza in grado di spazzare la popolazione: anche in questo caso i critici dissero che la scrittrice possedeva un'immaginazione malata.
Un altro romanzo fu Lodore nel 1835, un romanzo incentrato sui ruoli delle donne nella società e nelle famiglie. 

mercoledì 15 gennaio 2020

Imparare leggendo (#12)



Il bello dell'amare la lettura è che si ha l'opportunità di arricchire, tra le altre cose, il lessico.

Ecco qualche parolina di cui ignoravo il significato e/o l'etimologia.

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STRAORZARE: v. intr. e tr. Nel linguaggio marin., di nave che viene bruscamente all’orza, cioè che accosta nella direzione del vento. Come trans., condurre la prua della nave bruscamente fuori rotta, per effetto di grosso mare in poppa o di mal governo del timoniere.



SCISTO In petrografia, nome generico (anche roccia scistosa) di una roccia metamorfica caratterizzata da una disposizione regolare, in piani grossolanamente paralleli, dei componenti minerali lamellari o fibrosi, che le conferisce una più o meno facile divisibilità secondo tali piani, detti perciò piani di scistosità.

venerdì 29 novembre 2019

29 novembre 1864: il massacro di Sand Creek



Sto leggendo - e quasi per terminare - la storia di Cavallo Pazzo e la tragedia del suo popolo, della tribù Oglala Sioux, ad opera del governo degli Stati Uniti, ferocemente impegnato nella battaglia coi Pellerossa con lo scopo di scacciarli e prendersi le terre da loro abitate da generazioni.

Una delle pagine più tristi del conflitto tra l'Uomo Bianco e i Redskins è sicuramente il massacro di Sand Creek, di cui oggi ricorre l'anniversario.

wikipedia
È il 29 novembre 1864 quando i pacifici indiani delle tribù Cheyenne e Arapahoe vengono massacrati dal 3° Reggimento dei Volontari del Colorado, inviato dallo spietato colonnello John Chivington.

Nel 1851 gli Stati Uniti avevano "firmato" con i nativi il Trattato di Fort Laramie, che garantiva alle tribù su citate la proprietà dell'area a nord del fiume Arkansas nel Nebraska. Tuttavia, di lì a pochi anni, ondate di minatori euro-americani si affretteranno ad arrivare in tutta la regione alla ricerca dell'oro nelle Montagne Rocciose del Colorado, esercitando un'estrema pressione sulle risorse delle aride pianure. 

Nel 1861, le tensioni tra i nuovi coloni e i nativi americani stavano raggiungendo un punto di tensione molto alto. Sempre durante questo anno, una delegazione di Cheyenne, guidata dal capo Black Kettle (Pentola Nera), insieme ad alcuni leader di Arapahoe, aveva accettato un nuovo accordo e infatti da molti mesi non un solo colpo di fucile era stato scambiato fra i suoi Cheyenne e i "soldati blu".

"Ma con i trattati, come amava ripetere ai suoi sedicenti ufficiali, Chivington ci si «puliva il sedere». Fece puntare i suoi cannoni direttamente sul centro del villaggio, dove i tipì erano più fitti e inviò un distaccamento di Cavalleria verso il recinto dove gli Cheyenne avevano raccolto i loro mustang - ne contarono cinquecento - per azzopparli o metterli in fuga, così da togliere agli indiani ogni mezzo di ritirata."*

Già nel giugno 1864, John Evans, governatore del territorio del Colorado, aveva tentato di isolare i nativi americani recalcitranti invitando gli "indiani amici" ad accamparsi vicino ai forti militari e ricevere provviste e protezione; ad agosto Evans incontrò Pentola Nera e molti altri capi per creare una nuova pace, e tutte le parti se ne erano andate apparentemente soddisfatte.
Il campo Cheyenne si trovava in un’ansa a ferro di cavallo del Sand Creek a nord del letto di un altro torrente quasi secco e il tepee di Pentola Nera era vicino al centro del villaggio.

Ma le intenzioni del "viso pallido" erano, come sempre, cattive e infide: Chivington trasferì le proprie truppe in pianura e, il 29 novembre, esse attaccarono gli ignari nativi americani, disperdendo uomini, donne e bambini e dando loro la caccia. 
Pensate che, tanta era l'ingenua fiducia del capo Pentola Nera nella parola data (e scritta!) dell'Uomo Bianco, che quando sua moglie cominciò ad urlare per avvertire circa l'arrivo dei militari sui loro cavalli, il capo tribù uscì dalla tenda sventolando la bandiera americana, convinto che ci fosse un errore e che i soldati blu non li avrebbero attaccati ma avrebbero rispettato il patto di pace che c'era tra loro...
Ma evidentemente così non fu, e la fiducia di Pentola Nera si rivelò decisamente mal riposta.

Lì dove le giacche blu contarono nove uomini uccisi, i nativi invece piansero 148 persone, più della metà dei quali erano donne e bambini. 

Del resto, i soldati non fecero che obbedire agli ordini feroci e cinici del loro colonnello, che aveva raccomandato ai suoi uomini...: «Andate, uccidete e scotennate tutti, grandi e piccini, vecchi e donne. Ricordatevi: i pidocchi nascono dalle uova!».

Fu dunque un attacco a sorpresa ed infame (c'era un patto, in base al quale il governo federale si impegnava a garantire sicurezza alle tribù), condotto con una ferocia e una barbarie inaudite; queste le parole di un tenente che partecipò al massacro:

Tornato sul campo di battaglia il giorno dopo non vidi un solo corpo di uomo, donna o bambino a cui non fosse stato tolto lo scalpo, e in molti casi i cadaveri erano mutilati in modo orrendo: organi sessuali tagliati a uomini, donne e bambini; udii un uomo dire che aveva tagliato gli organi sessuali di una donna e li aveva appesi a un bastoncino; sentii un altro dire che aveva tagliato le dita di un indiano per impossessarsi degli anelli che aveva sulla mano; per quanto io ne sappia John M. Chivington era a conoscenza di tutte le atrocità che furono commesse e non mi risulta che egli abbia fatto nulla per impedirle" * 

Le atrocità commesse dai soldati furono inizialmente elogiate quali prove di coraggio, ma quando cominciò a diffondersi la verità circa le circostanze del massacro, esse vennero condannate in quanto altro non furono che un atto da vigliacchi e traditori.
Inoltre, a raccontare ciò che purtroppo accadde quel giorno sono stati gli stessi sopravvissuti indiani, che disegnarono le mappe dell'attacco, lo dipinsero sulle pelli di alce e raccontarono il crimine di cui furono vittime ai loro discendenti,


disegno di Lupo Ululante,
artista Cheyenne e testimone oculare degli eventi.
The Sand Creek massacre in a drawing by Howling Wolf,
a Cheyenne artist and eyewitness of the events.

Nonostante il governo a stelle e strisce riconobbe le proprie colpe non vennero date sanzioni nè a Chivington né ai suoi uomini, nè tanto meno gli indiani sopravvissuti ottennero alcun tipo di risarcimento...

Confesso di non aver mai approfondito la storia dei conflitti tra il governo USA e i nativi americani; il libro di Zucconi si è rivelato molto interessante e illuminante in questo senso; non sapevo di Sand Creek e leggere ciò che successe 155 anni fa mi ha fatto rabbrividire...

Vi lascio con questa canzone di Fabrizio De Andrè, in ricordo proprio di questo fattaccio della storia americana.



FIUME SAND CREEK

Si sono presi il nostro cuore sotto una coperta scura
Sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
Fu un generale di vent'anni
Occhi turchini e giacca uguale,
Fu un generale di vent'anni
figlio di un temporale

C'è un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek.

I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte,
E quella musica distante diventò sempre più forte
Chiusi gli occhi per tre volte,
Mi ritrovai ancora lì
Chiesi a mio nonno: È solo un sogno?
Mio nonno disse sì

A volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek.

Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso,
Il lampo in un orecchio e nell'altro il paradiso
Le lacrime più piccole,
Le lacrime più grosse
Quando l'albero della neve
Fiorì di stelle rosse

Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek.

Quando il sole alzò la testa oltre le spalle della notte
C'eran solo cani e fumo e tende capovolte
Tirai una freccia in cielo
Per farlo respirare,
Tirai una freccia al vento
Per farlo sanguinare

La terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek.

Si sono presi i nostri cuori sotto una coperta scura
Sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
Fu un generale di vent'anni
Occhi turchini e giacca uguale,
Fu un generale di vent'anni
Figlio di un temporale

Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek.




Fonti consultate:

https://www.history.com/this-day-in-history/sand-creek-massacre
* Vittorio Zucconi. Gli spiriti non dimenticano 

venerdì 27 settembre 2019

Imparare leggendo (#11)



Il bello dell'amare la lettura è che si ha l'opportunità di arricchire, tra le altre cose, il lessico.

Ecco qualche parolina di cui ignoravo il significato e/o l'etimologia.


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PEANA (raro peane) s. m. [dal lat. paeana, accus. di paean, gr. παιάν, in origine nome di divinità della cerchia di Apollo, poi epiteto di Apollo, «risanatore, soccorritore» e quindi nome del canto lirico in cui il dio era invocato] (pl. -i o invar.). – 1. Canto lirico religioso dell’antica letteratura greca, di tradizione micenea, originariamente riservato al culto di Apollo e della sorella Artemide, poi esteso ad altri dèi olimpici e più tardi, attenuatosi il carattere cultuale, anche a personaggi illustri: composto, nelle forme più antiche, in metro peonico, era cantato da un coro, generalmente di uomini, e accompagnato dal suono della lira. 2. Raro e poet. col valore originario come appellativo di Apollo:


CORRIVO agg. [der. di correre, ma la formazione dell’agg. non è ben chiara]. – 1. ant. Che corre o scorre 2. fig. Avventato nel fare qualcosa, troppo facilmente disposto; facile a cedere, tollerante, condiscendente; meno com., di persona che non ha un sufficiente controllo dei proprî atti.


TRALIGNAMENTO: allontanamento dai buoni costumi, dalle buone qualità e sim., ereditati dai genitori e dagli avi.


CORIFEO [dal lat. coryphaeus, gr. κορυϕαῖος, der di κορυϕή «cima»]. – 1. Capo dell’antico coro greco, spec. di quello drammatico. 2. fig. Capo, esponente più rappresentativo, spesso soltanto teorico, di un gruppo di persone, di un partito, di un movimento culturale o artistico, e sim.
lasco

lunedì 24 giugno 2019

Imparare leggendo: il gatto di Schrodinger



Certi particolari e curiosità non possono proprio essere ignorati, soprattutto se te li ritrovi in due differenti libri nell'arco di una settimana.

Sto parlando del "gatto di Schrodinger", di cui personalmente ignoravo l'esistenza e che viene menzionato sia da Covacich in DI CHI E' QUESTO CUORE, sia da Massimo Degano in PSICONAUTA.

E allora la domanda è sorta spontanea: ma chi è sto gatto e perchè è tanto famoso?

Diciamo subito - per i pochi che, come me, ignoravano la storia del famoso felino idealmente prestato alla scienza - che siamo nell'ambito della fisica quantistica, settore che per me è arabo puro.

Risultati immagini per gatto di schrödinger treccani
wikipedia
In secondo luogo, siamo in presenza di un cosiddetto "esperimento mentale", forse uno dei più famosi al mondo, condotto dal fisico Erwin Schrödinger (premio Nobel per la fisica nel 1933).

Lo scienziato descrisse l'incerta situazione (un paradosso) in cui può trovarsi un gatto chiuso in una scatola: esso, secondo le regole peculiari della teoria dei quanti, potrebbe essere sia vivo sia morto, incertezza che termina nel momento in cui la scatola viene aperta e si scopre lo stato del gatto.

La teoria quantistica ha una lunga storia di esperimenti mentali, che nella maggior parte dei casi sono usati per mostrare i difetti di varie interpretazioni della meccanica quantistica.
Schrödinger ha formulato il proprio paradosso per  illustrare il concetto di superposizione (cioè che due opposti stati possano esistere simultaneamente) e di imprevedibilità nella fisica dei quanti.

I fatti (ipotizzati) sono questi: abbiamo un gatto chiuso in una scatola, all'interno della quale vi è anche un meccanismo che può fare o non fare da innesco all'emissione di un gas velenoso. Entrambe le situazioni hanno una probabilità di verificarsi esattamente del 50%.
Secondo Schrödinger, visto che è impossibile sapere, prima di aprire la scatola, se la sostanza radioattiva sia stato rilasciata o meno, fintanto che la scatola rimane chiusa il gatto si trova in uno stato indeterminato: è sia vivo, sia morto.
Il paradosso sta in questo, quindi: in meccanica quantistica non è possibile descrivere classicamente gli oggetti, ma si ricorre così ad una rappresentazione probabilistica, cose per mostrare il fatto che una particella può assumere diverse posizioni, ad esempio, la si descrive come se essa fosse contemporaneamente in tutte le posizioni possibili.
Ovviamente, nel momento in cui avviene l’operazione di osservazione, la situazione cambia drasticamente poiché, una volta osservata in una data posizione, la suddetta particella assume definitivamente quella posizione e quindi non si trova più in una sovrapposizione di stati.

Tornando all'esperimento con il gatto: solo aprendo la scatola questa "sovrapposizione di stati" si risolverà, in un modo o nell'altro, andando a causare un cambiamento casuale dello stato, così che il gatto sia necessariamente morto o vivo: il salto quantico è il discreto (non continuo) e casuale cambiamento dello stato quando osservato.


Fonti consultate

http://www.lescienze.it
https://www.focus.it
http://www.treccani.it/magazine/atlante/scienze/Stanato_il_gatto_di_Schrodinger.html

giovedì 30 maggio 2019

Il kobold - creatura mitologica tedesca



Uno degli ultimi libri recensiti è stato LISSY, il thriller di Luca D'Andrea ambientato tra i monti dell'Alto Adige; nel romanzo è menzionata più di una volta una figura leggendaria appartenente alla cultura tedesca: il Kobold, o Coboldo.

Di che si tratta?

Secondo lo scrittore tedesco Otto Schrader, Kobold è una parola tedesca che può derivare dal tedesco arcaico “kuba-walda” e significare “colui che governa la casa”, o dall’anglosassone “cofgodas” (“dio della stanza”); ad ogni modo, nella mitologia germanica, esso è lo spirito o genio della categoria degli elfi, che abita presso il focolare domestico, prendendosi cura e della casa e dei suoi abitanti.
Jakob Grimm era del parere che questo termine potesse derivare dal greco “kobalos” che vuol dire “furfante, mascalzone”, alludendo al carattere dispettoso del coboldo.

link recensione
Il folletto è immortale, ha poteri sovrannaturali (può volare, trasformarsi...), ed essendo pur sempre un folletto, si diverte a fare dispetti agli esseri umani.

Ovviamente ci sono diversi miti e leggende su questo personaggio, e secondo alcune il coboldo non vive in casa ma nelle miniere, dove è dedito all’estrazione e lavorazione di metalli e pietre preziose; pare che la sua malignità lo induca a causare frane, crolli o a disturbare in qualche maniera il lavoro dei minatori.
Se ci fate caso, la parola coboldo rimanda a quella più nota  cobalto, il bellissimo metallo dal colore blu scuro che può risultare molto nocivo per l'essere umano; il suo nome deriverebbe quindi dal coboldo che lascerebbe una lunga scia blu scuro dietro di sè al suo passaggio; un'altra versione riporta che un giorno un gruppo di minatori in cerca di argento trovarono al suo posto proprio il cobalto, attribuendo questa scoperta erronea alle burle di un folletto.

Per quanto riguarda l'aspetto fisico, i folletti non sono propriamente famosi per la loro avvenenza, e questo stereotipo vale anche per il kobold, in particolare per quello che lavora nelle miniere, spesso raffigurato con un aspetto orribile, bestiale, simile ai draghi e ai rettili, con le orecchie a punta.

Discorso un po' diverso per i coboldi domestici, dall'aspetto meno spaventoso e con un'indole più benevola, sempre molto astuti ma capaci di dare preziosi aiuti ai mortali che chiedono loro soccorso.
Questa categoria di coboldo sceglie una famiglia da servire e lì resta, a meno che non venga insultato, affronto per il quale si vendica.
Si dice che metta alla prova il padrone di casa aggiungendo sporcizia nelle brocche di latte della famiglia e impolverando con la segatura alloggi altrimenti puliti; se il capo famiglia beve il latte e
lascia la segatura là dov'è, il coboldo capisce di essere stato accettato e che verrà trattato con rispetto, ricevendo anche una parte della cena. Da quel momento in poi, l'essere mitologico servirà la famiglia del padrone fino a quando l'ultimo della sua stirpe morirà.

Ma v'è una terza categoria di kobold, meno nota: quelli del mare, che offrono protezione e servizi al capitano e all'equipaggio di una nave mercantile o pirata, ad esempio prevenendo l'affondamento dell'imbarcazione; nondimeno, se la tragedia accade, la creatura lascia i marinai al loro triste destino e si preoccupa solo di salvare se stesso. Per questa ragione, l'avvistamento di un coboldo è sempre stato visto come un cattivo auspicio.


 
Fonti consultate per l'articolo:  fonte 1  fonte 2  fonte 3

domenica 24 marzo 2019

Il 24 marzo 1905 moriva Jules Verne, il padre della fantascienza



Jules Gabriel Verne nasce l'8 febbraio 1828, da Pierre e Sophie, che accolsero il loro primo figlio mentre vivevano a Nantes, una città nella Francia occidentale. Il luogo di nascita ha avuto un profondo impatto sulla scrittura del futuro scrittore, in quanto nel diciannovesimo secolo, Nantes era un'affollata città portuale che fungeva da importante centro per i costruttori e commercianti francesi, per cui il piccolo Jules ha trascorso la sua infanzia guardando le navi che navigavano lungo la Loira e immaginando come sarebbe stato salirvi a bordo. Negli anni questi ricordi della vita marittima li riutilizzerà nella scrittura.

Verne ha iniziato a scrivere poesie a soli 12 anni principalmente per esprimere il turbinio dei propri sentimenti adolescenziali. Quando si innamora di sua cugina, Caroline Tronson (maggiore di lui di un anno e mezzo), le dedica delle poesie; purtroppo la giovane Caroline non ricambia i sentimenti del cugino più giovane e anzi sposerà un uomo molto più grande di lei, spezzando il cuore del povero Jules.

La vena da scrittore di Giulio si scontra con i desideri del padre, che lo incoraggia a seguire le proprie orme e ad immergersi nella professione legale, e lo manda così a Parigi.
Verne si laurea in giurisprudenza nel 1851, ma continua a scrivere fiction durante questo periodo,  continuando a scontrarsi con suo padre. Nel 1852, il genitore gli fea fare pratica a Nantes, ma Verne decide di dedicarsi seriamente alla vita di scrittore.

Nel suo soggiorno parigino, Verne fu molto preso dalla situazione politica francese, molto in fermento in quegli anni, e anche se restò fuori dagli sconvolgimenti politici, i suoi scritti in seguito esplorarono temi di conflitto governativo.

Nel maggio 1856, Verne incontra Honorine de Viane Morel, a un matrimonio; si innamora di lei (una vedova di 26 anni con due figli) e nel gennaio 1857, con il permesso della sua famiglia, i due si sposano.
Ma il matrimonio gli ha messo sulle spalle delle responsabilità:ora che è sposato e deve mantenere moglie e figlie acquisite, Verne necessita di un reddito dignitoso, così ottiene un lavoro in una società di intermediazione, lasciando il lavoro teatrale (che non gli assicurava grossi guadagni) per diventare agente di cambio alla Borsa di Parigi. Ma il lavoro non gli impedisce di continuare a scrivere, infatti egli prende l'abitudine di svegliarsi presto ogni giorno per scrivere e fare ricerche per diverse ore prima di andare a lavorare.
A proposito di teatro, Verne, insieme a Dumas figlio, ha rivisitato la propria commedia teatrale, Les Pailles rompues (The Broken Straws) con cui debutta a Parigi nel 1850.
E' stato anche molto amico di Dumas padre e di Victor Hugo, che sapranno incoraggiarlo nei periodi difficili.

Anche se probabilmente i romanzi più famosi dell'Autore ci appaiono come entità distinte, in realtà essi facevano parte di una serie, la Les vyages Extraordinaires. A partire dal 1860, Verne incontrò Pierre-Jules Hetzel, un noto editore che lo aiutò a pubblicare il suo primo romanzo, Five Weeks in a Balloon. Questo romanzo è stato il primo di una serie di dozzine di libri scritti da Verne e pubblicati da Hetzel, e tra essi figurano alcuni famosi come Ventimila leghe sotto i mari.

Dal 1863, Verne accetta di scrivere due volumi all'anno per Hetzel, un contratto che gli procura una costante fonte di reddito per decenni. Tra il 1863 e il 1905 pubblica 54 romanzi su viaggi, avventure, storia, scienza e tecnologia per la serie succitata, lavorando molto su personaggi, struttura e trama insieme ad Hetzel, fino alla morte di lui (1886). 
Nella sua vita ha scritto 65 romanzi, sebbene alcuni non sarebbero stati pubblicati fino a molto tempo dopo la sua morte.

La sua fama di scrittore decolla negli anni '60 dell'800, tanto che egli si concede l'acquisto di un piccolo yacht (chiamato Saint Michel in onore del figlio, Michel); viaggia molto per mare, godendosi la pace e la tranquillità e proseguendo a scrivere; proprio nel corso di questi viaggi in barca a vela, scrive la maggior parte dei manoscritti - Il giro del mondo in 80 giorni, Ventimila leghe sotto i mai.
Col trascorrere del tempo, acquista altre imbarcazioni, tra cui una barca a vapore per i suoi lunghi viaggi in Scozia e nel Mediterraneo.

Verne ha scritto in francese, ma i suoi lavori sono stati tradotti in circa 150 lingue, facendo di lui il secondo autore più tradotto di sempre (Agatha Christie detiene il record del mondo).

Purtroppo Verne non sempre è stato apprezzato come meritava; molti editori di lingua inglese hanno considerato il suo genere fantascientifico-avventuroso come adatto precipuamente a lettori giovanissimi, minimizzando il suo lavoro, semplificando le storie, tagliando passaggi molto ricercati, riassumendo dialoghi e, in alcuni casi, annullando qualsiasi cosa che potesse essere interpretata come una critica all'Impero britannico; per non parlare di tante traduzioni piene di errori.

Le opere di questo scrittore hanno fortemente influenzato lo steampunk, un sottogenere della fantascienza che prende ispirazione dalla tecnologia industriale del XIX secolo.
Alcune delle tecnologie da lui immaginate nella sua narrativa in seguito sono divenute realtà (puoi sbirciare QUESTO ARTICOLO, se interessato all'argomento).
Verne ha scritto di grattacieli, ascensori, automobili con motori a combustione interna, treni, luci della città elettriche e sobborghi: era decisamente in anticipo sui tempi. Ha persino scritto di un gruppo di calcolatori meccanici in grado di comunicare tra loro su una rete...!
E per finire, il nostro Giulio ha ispirato anche innumerevoli autori di svariati generi, dalla poesia al viaggio all'avventura. Come scrisse Ray Bradbury , "Siamo tutti, in un modo o nell'altro, figli di Jules Verne."

Dal punto di vista della salute, purtroppo sin dalla giovinezza, il Nostro ha patito a causa di vari malanni, a cominciare dagli attacchi improvvisi e forti di mal di stomaco, senza riuscire ad ottenere diagnosi adeguate; per cercare di alleviare i dolori, provò diverse diete, tra cui una che prevedeva solo uova e latticini. A parere degli storici, poteva soffrire di colite o di un disturbo legato ai processi digestivi.
Non solo, ma ha sofferto di cinque episodi di paralisi facciale nel corso della sua vita; la prima volta che ebbe l'attacco, i medici hanno trattato il suo nervo facciale con la stimolazione elettrica, ma in seguito ebbe comunque altri episodi simili.
Tanto per non farsi mancar nulla, poverino, aveva anche il diabete di tipo 2, pressione alta, vertigini croniche e altre malattie, fino a diventare parzialmente cieco.
Ma non è finita qui...: nel 1886 Verne divenne invalido a causa di uno spiacevole "incidente". Un suo nipote, Gaston, che allora aveva vent'anni e soffriva di un disturbo mentale,  sparò a Giulio con una pistola, colpendolo alla gamba sinistra...
Il proiettile aveva danneggiato gravemente la gamba e il suo diabete ovviamente complicò il processo di guarigione. Un'infezione secondaria lo lasciò con una zoppia evidente che persistette fino alla sua morte, avvenuta il 24 marzo nel 1905, ad Amiens.





Fonti consultate:


lunedì 21 gennaio 2019

Alcune brevi curiosità su... George Orwell



In questo giorno, di 60 anni fa, moriva lo scrittore George Orwell.

Il su vero nome non era questo, bensì Eric Arthur Blair; nato il 25 giugno 1903 a Motihari, nel Bengala, era figlio di un impiegato statale che lavorava presso il governo indiano britannico col compito di sorvegliare la crescita dell'oppio da parte dei contadini indiani.
Quando Eric aveva un anno, la madre Ida si trasferì coi bambini in Inghilterra e da allora Eric non è mai più tornato a Motihari.

George Orwell
Ha frequentato Eton, dal 1917 al 1921 grazie ad una borsa di studio.
Il suo amore per lo studio non fu costante e a un certo punto decise di fare una sorta di servizio civile imperiale, come suo padre, però in Birmania anziché in India, avendo là ancora parecchi membri della famiglia di sua madre, inclusa la nonna.
Divenne poliziotto e aveva sotto di sè 200.000 persone. Trascorreva il suo tempo libero leggendo, scrivendo e facendo in modo che i domestici fossero pronti a soddisfare ogni sua esigenza. In quegli anni si è fatto fare alcuni tatuaggi sulle nocche, oltre a farsi crescere i suoi famosi baffetti.

Lavorare per l'impero britannico si rivelò una delusione e, a differenza del padre - che era rimasto in quel mondo per almeno quaranta anni -, Eric decise di uscirne abbastanza presto.
Dopo aver contattato la febbre dengue, gli fu permesso di partire nel 1927. I suoi ricordi di questo periodo della sua vita si possono trovare nel libro Burmese Days (Giorni in Birmania) e nei saggi Shooting An Elephant (L'uccisione dell'elefante) e A Hanging (Un'impiccagione).

Una volta lasciata la Birmania, decide di concentrarsi sull'attività di scrittore a tempo pieno. Il suo pensiero è scrivere delle vite dei perdenti e l'unico modo per farlo era diventare uno di loro.
Così a Parigi fa il lavapiatti, a Londra diventa un vagabondo, parlando tutto il tempo con persone  che realmente vivevano nella povertà. Sì perchè lui, dopotutto, a Parigi non ha mai rischiato di morire di fame e freddo in quanto aveva sua zia Nellie ad aiutarlo dandogli del cibo quando era disperato. Lo aiutò anche a trovare una stanza in rue Pot de Fer e lo presentò a Henri Barbusse, l'uomo che pubblicò il suo primo articolo (a carattere politico), per il quale fu remunerato, nel 1929.

Quando e perchè scelse Blair di chiamarsi "George Orwell"?
Beh anzitutto, gli piacque perché gli sembrava un buon nome inglese; si ipotizza che si sia ispirato al fiume Orwell della contea di Suffolk, in Inghilterra, ma magari lo scrittore potrebbe semplicemente aver preso spunto dal nome di uno zio, George Limouzin, il fratello più giovane di sua madre Ida.
Ma perché ha inventato uno pseudonimo? Per prima cosa, non gli era mai piaciuto "Eric Blair", e poi lo fece anche per evitare di creare imbarazzi alla propria famiglia, soprattutto dopo che scrisse "Senza un soldo a Parigi e a Londra".
Si racconta che nel corso della propria esistenza, George Orwell abbia sempre cercato di tener separata la vita come Orwell da quella in cui era Eric Blair; addirittura si impegnava per tenere lontani i gruppi di amici (quelli che lo conoscevano come Eric da quelli che lo conoscevano come George).
Un'altra ragione furbetta per la quale si dice che abbia scelto proprio "Orwell" era perché voleva un nome che iniziasse con una lettera centrale dell'alfabeto, così che i suoi libri fossero collocati nella parte centrale degli scaffali in libreria: né troppo in alto, dove i clienti non riescono a vedere bene, né troppo in basso, vicino ai loro piedi.

Orwell era un ateo, legato però alle tradizioni della Chiesa d'Inghilterra; non solo, ma era anche abbastanza superstizioso. 
Dichiarò di aver visto un fantasma, un giorno che era nel cortile della chiesa di Wallington.
Aveva la convinzione che le persone potessero fare una magia nera segreta solo partendo dal nome di una persona (sarà pure per questo che si scelse uno pseudonimo??).
Nei suoi primi anni di Eton, lui e un compagno di scuola avevano creato una bambola voodoo con il sapone di un ragazzo più grande da cui si sentivano presi in giro: la "vittima" finì per rompersi una gamba e, più tardi, morì di cancro. Orwell si sentì in colpa per questo fatto per il resto della sua vita. Abbiamo già detto che in Birmania si fece disegnare dei tatuaggi sulle nocche, cioè dei cerchi blu per scongiurare la sfortuna.

Orwell è stato un insegnante prima di divenire uno scrittore famoso; in particolare, è stato tutor di un ragazzo disabile e poi  per alcuni semestri insegnante alla Hawthorns High School per ragazzi. In seguito divenne insegnante al Frays College di Uxbridge.
Dopo essersi trasferito a Londra, ha lavorato part-time al Booklovers' Corner di South Green ad Hampstead, una libreria che poi è diventata una panineria; ancora adesso c'è affissa una targa che indica che Orwell ha lavorato lì, in Pond Street.
Proprio mentre lavorava al Booklovers' ottenne il suo primo incarico di scrittura: un romanzo verità sullo sfruttamento e la disoccupazione esistente in una cittadina mineraria dell'Inghilterra settentrionale durante gli anni Trenta (The Road to Wigan Pier).

Ad una festa ad Hampstead Heath incontrò Eileen O'Shaughnessy (1905-1945), una studentessa di psicologia a Oxford; i due si sposarono nel giugno del 1936 nella chiesa di Wallington, nell'Hertfordshire. Hanno tenuto un cottage chiamato The Stores (immagine a sinistra) dove vendevano cose di vario genere agli abitanti del villaggio, facendo un po' di soldi con le caramelle vendute ai bambini del posto. La casa in sé era terribile (scarsamente riscaldata, con un tetto di lamiera che faceva un rumore terribile quando pioveva), ma i due amarono stare lì. Coltivavano alcune verdure e allevavano galline e capre. Fu durante la sua permanenza in The Stores che concepì Animal Farm (La fattoria degli animali) e inserì gran parte della sua vita a Wallington nel libro.

Durante gli anni '30, i regimi dittatoriali erano sempre più diffusi in tutta Europa, con Hitler che guadagnava potere in Germania, Mussolini in Italia e Stalin in Russia. Francisco Franco stava tentando di fare lo stesso in Spagna.
Orwell andò in Spagna per combattere sul fronte repubblicano e si arruola nella milizia del P.O.U.M. (Partito Obrero de Unificacion Marxista), un piccolo movimento anarco-sindacalista della Catalogna, venendo ferito però alla gola nel 1937 da un proiettile sparato da un cecchino franchista.

Dopo essere tornato a Wallington per un breve periodo, lui ed Eileen andarono a Marrakech nella speranza che l'aria secca favorisse la salute di Orwell, al quale era stata ufficialmente diagnosticata la tubercolosi da suo cognato Laurence O'Shaughnessy (noto chirurgo toracico). Mentre faceva la sua solita coltivazione di verdure e allevamento di almeno una capra e polli, Orwell ha scritto la maggior parte di Coming Up For Air (Una boccata d'aria). Suo padre, Richard Blair, sarebbe morto poco dopo la pubblicazione.

Orwell, non potendo trovare lavoro nelle forze armate a causa del cattivo stato dei suoi polmoni, alla fine aveva trovato lavoro alla BBC. Ha fatto trasmissioni per il dipartimento dei servizi orientali.
Gran parte dell'immaginario della vita lavorativa di Winston Smith (protagonista di 1984) presso il Ministero della Verità si ispira proprio ai giorni trascorsi da Eric alla BBC.

Sembra che lui ed Hemingway si siano trovati diverse volte negli stessi posti e nello stesso momento senza però mai incrociarsi; ad es., Hemingway ha anch'egli combattuto nella Guerra Civile Spagnola, aveva vissuto a Parigi nello stesso periodo di Orwell e deve averne seguito la carriera ,a la cerchia di amicizie era evidentemente diversa.
Ci fu un'occasione in cui, tornando Blair a Parigi, dopo una visita nella parte della Germania occupata dagli alleati, vestito in uniforme (era corrispondente di guerra per The Observer) soggiornava all'Hotel Scribe, e si mise a sbirciare il registro dell'albergo per vedere se c'era qualcuno con cui parlare e si accorse con sua grande gioia che figurava  il nome di Hemingway. Allora andò a bussare alla porta della sua stanza e, dopo essersi presentato come George Orwell (inizialmente disse il suo vero nome, ma ad Ernest "Eric Blair" non diceva proprio nulla...) l'altro gli offrì un bicchiere di scotch.

Orwell era un donnaiolo; aveva molte amiche che poi divennero sue amanti, soprattutto quando la sua fama di scrittore lo travolse.
Se la moglie sapesse e soffrisse per i tradimenti del coniuge, non è dato sapere (pare che il loro fosse un matrimonio piuttosto "aperto").
I due avrebbero voluto avere bambini ma Orwell era convinto di non poterne avere, così nella primavera del 1944, George ed Eileen seppero di una donna che non riusciva a tenere il suo bambino e subito si diedero da fare per ottenere la custodia del bambino; lo adottarono e fu chiamato Richard Horatio Blair.

Per quanto riguarda il celebre romanzo distopico 1894 (RECENSIONE), benchè non fosse più lungo di altri suoi libri precedenti, ci mise un'eternità a terminarlo. Aveva iniziato a scriverlo per la prima volta nel 1946, interrompendosi a causa di mille impegni lavorativi; in seguito alla sua malattia che avanzava con la tubercolosi, il libro impiegò sempre più tempo prima di venire alla luce.
Inizialmente esso doveva essere ambientato nel 1980, poi nel 1982 e infine nel 1984; trascorse la maggior parte del 1948 a scrivere il manoscritto finale, e quando lo concluse pensò al titolo, che in origine era The Last Man In Europe, ma i suoi editori, Secker & Warburg, pensarono che 1984 fosse di gran lunga migliore.

George Orwell è morto il 21 gennaio 1950 per tubercolosi, in un ospedale di Londra.


Fonte per articolo: QUI
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