sabato 13 luglio 2013

Leggere per conoscere: Lapis Niger e Umbilicus Romae



In occasione della lettura di "Fratture" di Massimiliano Nuzzolo, di cui tra poco potrete leggere il mio parere, eccomi qui a condividere con voi due leggende citate in questo libro: LAPIS NIGER e UMBILICUS ROMAE.

LAPIS NIGER


Il nome Lapis Niger deriva dal marmo nero presente in questo recinto delimitato da lastre di marmo posizionate verticalmente.

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La scoperta, avvenuta nel 1899, venne subito associata con un passo dello scrittore Festo, nel quale si accennava ad una "pietra nera nel Comizio" indicante un luogo funesto luogo dove si presume sia stato ucciso Romolo dai senatori a causa del suo dispotico esercizio dei poteri.
Durante gli scavi svolti in quell'anno, erano stati trovati i resti di un complesso monumentale composto da una piattaforma su cui si trovano un altare di tufo a tre ante e un basamento circolare destinato  a sostenere una statua e un cippo dalla forma trapezoidale sui cui lati era inciso un testo in latino arcaico. 
Sembra che sul testo ci fossero riferimenti a una qualche forma di legge sacra per regolamentare i riti da svolgere presso l'altare dedicato a Vulcano, il tutto sotto il controllo del re.
L'iscrizione, seppur lacunosa e difficile nella traduzione, riveste un'importanza fondamentale, in quanto documenta che questo era un luogo sacro, ai violatori del quale si minacciano pene terribili.
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In ogni caso il tipo di caratteri di questo testo ha portato a datarlo all'età regia, quindi intorno al VI secolo a.C. Dalle ultime ricerche effettuate è stato escluso che questo fosse il luogo di sepoltura di Romolo.




UMBILICUS ROMAE


L'Umbilicus Urbis Romae è una costruzione conica in mattoni risalente all'epoca severiana, un tempo rivestita di marmi bianchi e colorati, situata tra i Rostra e l'Arco di Settimio Severo: come dice la parola stessa trattasi dell'ombelico di Roma, ovvero il centro della città, ad imitazione dell'omphalòs greco. 
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Il fatto di essere il centro della città e di avere una cavità sottostante riporta al racconto della fondazione di Roma fatto da Plutarco: questi infatti narrava che Romolo scavò una fossa circolare “nel luogo che ora è chiamato Comizio” e vi gettò dentro le primizie di ogni cosa. I seguaci di Romolo, a loro volta, vi gettarono un pugno della loro terra di origine. Questa fossa era chiamata dai Romani mundus, con lo stesso vocabolo usato per indicare l’Olimpo. 
Plutarco prosegue dicendo che la fossa chiamata mundus era considerata il centro del solco circolare tracciato intorno ad essa con un aratro, trainato da un bue e da una vacca che vi erano stati aggiogati: questo solco era il pomerium di Roma. 

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Da qui la tradizione romana di scavare una fossa, il mundus appunto, prima di ogni altra opera nel luogo che sarebbe stato il centro della città, perché quella era il collegamento con il mundus Cereris, ovvero il confine fra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti. 
La fossa, di forma circolare a ricordare la volta celeste e l'universo tutto, era chiusa da una pietra e rimaneva chiusa per tutto l'anno ad eccezione di tre giorni, il 24 agosto, il 5 ottobre e l'8 novembre, durante i quali mundus patet, ovvero il mondo è aperto, mettendo così in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti. 

L’apertura del mundus stabiliva una comunicazione effettiva, visibile, tra i tre mondi (celeste, terreno ed infero), nel luogo stesso dove questi si congiungevano. 

La pietra che chiudeva l’accesso al mondo sotterraneo dei morti, regno di Plutone e Proserpina, era detta lapis manalis perché da lì passano i Mani, ovvero le anime dei morti buoni, dei parentes, delle persone di famiglia dalle quali ci si aspetta protezione e benevolenza anche dopo la morte. 

In quei 3 giorni in cui mundus patet, giorni ritenuti solennemente religiosi ma durante i quali era più facile varcare la soglia perché la pietra era aperta, era proibito svolgere qualsiasi attività pubblica: pertanto era considerata cosa empia non solo dare battaglia o cominciare una guerra, ma anche arruolare soldati, salpare con le navi o unirsi alla moglie per avere figli.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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